Victor Burgin (Sheffield, Inghilterra, 1941), che aveva già tenuto la sua prima personale italiana nel 1972 proprio negli spazi della Galleria Lia Rumma di Napoli, presenta in questa mostra il lavoro inedito The Ideal City e due lavori storici, Hôtel Latône (1982) e Solito Posto (2008).
Artista e al contempo autore di saggi fondamentali sulla fotografia e sulla teoria dell’arte, Burgin a partire dalla fine degli anni sessanta ha sviluppato la sua ricerca muovendosi costantemente tra pratica artistica e riflessione teorica. Questo “terzo spazio” (H. Bhabha, 1991), ovvero il luogo e l’esito di questa oscillazione, è divenuto il fondamento volutamente ambiguo/mobile della sua opera che si è dislocata di volta in volta nelle pagine di un libro o nello spazio di una galleria, richiedendo allo spettatore molto più di un semplice atto percettivo. In questa prospettiva la fotografia, scelta come medium privilegiato, ha avuto molteplici valenze: è stata un forte agente di corrosione dell’autonomia modernista, ed inoltre ha consentito di riconfigurare un legame con il reale e di uscire dalle logiche analitiche di molte pratiche concettuali.
Ma che si sia trattato dell’appropriazione o del detournement delle immagini pubblicitarie dei suoi primi lavori, o della rappresentazione dei ruoli sessuali nella storia dell’arte e nei media, il lavoro di Burgin influenzato anche dagli studi di semiotica, cinema e psicoanalisi, ha indagato e decodificato la natura dell’immagine nel definire i termini dominanti della rappresentazione. Più di recente, Burgin ha indirizzato il suo discorso “verbo-visuale” verso l’architettura e lo spazio psichico, ovvero sulla forza, sul potere che l’architettura detiene nel modellare il mondo e il nostro immaginario inconscio.
Invitato da Lia Rumma a realizzare un lavoro specifico per Milano, Burgin ha progettato The Ideal City, La Città Ideale, dove il titolo è un esplicito riferimento al dipinto rinascimentale conservato al Museo di Urbino, simbolo di quell’ideale urbano regolato da rigore geometrico e organizzazione prospettica, ma dove il suggestivo percorso delle associazioni generate da quell’immagine conducono fino alle raffinate ed estranianti sequenze del film di Michelangelo Antonioni La notte.